L’ictus, o stroke, è un evento cerebrovascolare che si manifesta attraverso sintomi che riguardano specifiche aree del cervello. Questa condizione neurologica è estremamente eterogenea. Esistono due tipologie di ictus: ischemico, che si verifica quando le arterie cerebrali vengono ostruite da un coagulo di sangue o da una placca, ed emorragico, che consiste nella rottura di un’arteria, la quale provoca una fuoriuscita di sangue che fa pressione all’interno della scatola cranica.
Cosa tratteremo
Caratteristiche principali
Indipendentemente dalla tipologia di evento, l’estensione della lesione è un continuum che comprende sia piccolissime porzioni danneggiate che aree cerebrali molto vaste.
Le compromissioni successive all’ictus possono portare a selettive alterazioni delle funzioni cognitive e/o motorie. Di conseguenza, il percorso di recupero dipende dal grado di disabilità prodotto dalla malattia e dal livello di consapevolezza del paziente.
Dalla valutazione al trattamento
Il compito dello psicologo formato in neuropsicologia è trattare le compromissioni cognitive legate alle sequele dell’evento ictale avvalendosi di metodologie e strumenti standardizzati.
In prima istanza, una volta superata la fase acuta, lo scopo è quello di valutare il funzionamento attuale degli aspetti cognitivi quali attenzione, linguaggio, e memoria, al fine di impostare un valido piano di trattamento.
Un ruolo fondamentale in questo processo è quello dei caregivers (chi “si prende cura” del paziente, di solito parenti di primo grado o figure professionali) in quanto forniscono informazioni utili al clinico per indagare e ricostruzione le abilità che il paziente aveva prima dell’insorgenza dei sintomi.
Dopo aver ricostruito il profilo cognitivo del paziente, unendo i dati presi in valutazione e le informazioni ottenute dai caregivers, il clinico può impostare un trattamento cognitivo ad hoc, cucito su misura per quella specifica persona.
Riabilitazione neuropsicologica
Il termine esatto con cui definire il percorso di recovery cognitiva post ictus è riabilitazione neuropsicologica. È una forma di riabilitazione che deve essere eseguita parallelamente a quella motoria.
Lo scopo è trattare le compromissioni cognitive insegnando nuovamente abilità perse o potenziando le abilità residue. Ad esempio, una persona può aver sviluppato afasia in produzione (difficoltà nel produrre parole ma non nel comprenderne il significato) ma non avere affatto problemi di memoria. In questo caso il lavoro verte principalmente sull’abilità linguistica, ma si cerca anche di monitorare la memoria, per mantenerne la funzionalità.
Concretamente, come avviene la riabilitazione? Di base, vengono proposti dei training cogntivi, ossia esercizi che hanno come target la specifica funzione cognitiva su cui si vuole lavorare. La modalità con cui i training vengono eseguiti è carta e matita (esercizi da eseguire su fogli stampati dallo psicologo) o computerizzata (gli stessi esercizi proposti al computer).
Grazie alla ricerca scientifica, però, ad oggi si può parlare anche di una terza via: la neuromodulazione. Questo corpus di tecniche sfrutta il principio della neuroplasticità, in base al quale se il cervello viene stimolato con strumenti quali lenti prismatiche, tDCS o TMS, i neuroni delle aree cerebrali interessate dalla lesione hanno una finestra temporale più o meno ampia (circa 90 minuti) durante la quale la loro attività viene ripristinata.
Per sfruttare efficacemente questo lasso di tempo, dopo la neuromodulazione, il clinico propone al paziente gli esercizi delle modalità “classiche” di cui sopra. Non esiste una tempistica predefinita che stabilisca la durata della riabilitazione neuropsicologica in termini di mesi o anni: ogni persona segue un percorso unico, in linea sia con le caratteristiche dell’evento cerebrovascolare che con aspetti del tutto soggettivi.
L’obbiettivo primario, infine, è quello di dare al paziente gli strumenti per poter tornare a svolgere le mansioni che eseguiva prima dei sintomi. Purtroppo, questo traguardo non è sempre raggiungibile. Paziente, caregivers, e psicologo devono far rete in un network che stimoli la motivazione del paziente stesso ad intraprendere un percorso di riabilitazione, abbattendo lo stigma sociale ed il rischio di essere considerato “diverso”.