La translucenza nucale è un esame di tipo ecografico, privo di rischi e non invasivo, fondamentale per il rilevamento di specifiche anomalie nella formazione del feto, durante la gravidanza.
Con questo esame è possibile misurare lo spessore tra l’osso occipitale del cranio e la cute nella nuca o, per essere più precisi, dello spessore liquido che si è andato a formare sotto il collo fetale. Questo esame è quasi sempre accompagnato da un’altra tipologia di test, ossia il bi-test. Quando è opportuno farli? Scopriamo insieme tutto ciò che c’è da sapere a riguardo.
Cosa tratteremo
Translucenza Nucale: quando e perché farla
La translucenza nucale è uno degli esami più importanti all’interno delle pratiche concernenti la diagnosi prenatale. Esso è, infatti, uno dei più potenti marcatori fetali che abbiamo a disposizione per individuare la presenza di anomalie che potrebbero, nella maggior parte dei casi, essere ricondotte a patologie quali la Sindrome di Down, la Trisomia 18 e 13 o ancora per rilevare altre malformazioni di natura cardiaca.
Essendo un esame effettuato tramite ecografia, non ci sono rischi per il bambino o per la madre e la sua incidenza sulla salute di entrambi è pari a 0. In più, esso consente di confrontare i valori ottenuti dalla misurazione per capire se lo spessore rientra nei criteri o se sarà necessaria un’analisi più approfondita.
Solitamente, la translucenza nucale viene effettuata a partire dall’undicesima fino alla tredicesima settimana di gravidanza. È proprio in questo momento della sua formazione che il feto ci consente la possibilità di capire, con estremo anticipo, quali sono le sue condizioni e come agire di conseguenza.
Tuttavia, è bene sottolineare che questo esame può essere svolto in qualsiasi momento della gravidanza e che non presentando rischi è una procedura alla quale è strettamente consigliato sottoporsi.
Translucenza nucale: interpretare i risultati
Innanzitutto, per poter effettuare questo esame è necessario che la lunghezza cranio-caudale sia compresa tra i 45 mm e gli 84 mm.
A questo valore, dobbiamo quindi associare la translucenza nucale e comprendere, in base al rapporto tra le due misurazioni, lo stato di salute del feto. Si definisce infatti translucenza aumentata quanto la misura supera i 3,5 mm, valore limite di riferimento che, se accertato, richiederà l’eseguimento di altri esami più specifici.
Bi-test: cos’è e perché viene eseguito
Alla translucenza nucale viene quasi sempre abbinato un altro tipo di esame, ossia il bi-test. Questo avviene in quanto la translucenza nucale non è più considerata, dalla comunità medica internazionale, sufficiente al fine di individuare preventivamente eventuali anomalie genetiche e cromosomiche.
Per questo motivo, in combo con la translucenza nucale, viene prescritto il bi-test, ossia un prelievo di sangue materno che ha lo scopo di cercare la presenza di due proteine placentari: Beta HCG e PAPP-A.
Questi due esami molto differenti costituiscono quindi il primo vero test combinato durante il primo trimestre. Benché ad oggi esistano innumerevoli procedure preventive, il bi-test non viene meno nei suoi risultati ed è considerato ancora oggi uno dei test più affidabili e meno invasivi attualmente esistenti.
Entrambi gli esami possono essere eseguiti in strutture pubbliche o private in cui siano i rispettati i requisiti previsti dalla Fetal Medicine Foundation, ossia dalla fondazione creata proprio dall’inventore di questa pratica combinata.
Infine, ricordiamo che da alcuni anni è possibile informarsi se la propria struttura ospedaliera segue e rispetta i criteri della fondazione sul sito ufficiale della Società Italiana di Ecografia Ostetrica Ginecologia e Metodologie Biofisiche.